Esemplari integri e frammenti di merletto veneziano databili a partire dal Cinquecento: rappresentano le trine più antiche e di maggior prestigio conservate al Museo, realizzate a fuselli o ad ago, talvolta anche con tecnica mista. Il novero dei merletti veneziani include anche i cosiddetti pizzi rinascimento, tipici per l’appunto del Cinquecento. La lavorazione ad ago raggiunse livelli di eccellenza nella città lagunare, mentre tipica di altre zone, ad esempio delle Fiandre, era la lavorazione a fuselli – in genere era difficile distinguere i manufatti veneziani da quelli fiamminghi. In un primo momento volti esclusivamente a impreziosire tovaglie da altare e paramenti sacri, le trine ad ago e fuselli divennero con il tempo un apprezzato elemento decorativo dell’abbigliamento civile e in particolare borghese, con riferimento a colletti, polsini e veli. Su iniziativa del parroco di Isola, don Giovanni Zamarin, nel 1882 venne fondata l’Imperial Regia Scuola di merletti di Isola d’Istria, che rimase attiva fino al 1936, anno in cui insieme all’insegnante dell’epoca Luigia Pugliese e all’intera dotazione venne trasferita alla Scuola del merletto di Idrija.

Allieve della scuola del merletto di Isola, primo terzo del XX secolo

Esemplari di merletti a uncinetto: si suppone siano opera della “scuola” delle monache agostiniane di fine Ottocento, perché prima che aprissero le varie scuole del merletto le religiose erano solite organizzare svariati corsi di manualità sul modello delle realtà oltreconfine. Anche in area slovena, dunque, i merletti all’uncinetto si affermarono negli anni di passaggio tra Otto e Novecento, e se inizialmente impreziosivano solo la biancheria da letto e i panni da cucina in lino, furono poi estesi all’intimo e infine sdoganati anche su vari indumenti destinati per lo più al pubblico femminile.

Impiego di merletti e ricami decorativi: bordure e applicazioni di merletti e ricami su indumenti e tessuti, databili tra il Settecento e metà Novecento. Erano usati per impreziosire:

  • capi di abbigliamento esterni in uso sia nell’ambiente rurale che in quello urbano. A tal proposito meritano di essere messi in risalto soprattutto i merletti del costume tradizionale istriano: la camicia da donna, ad esempio, era decorata da trine ad ago sui risvolti delle maniche e lungo tutta la lunghezza delle stesse, incorniciate da linee a contrasto ricamate a punto catenella con fili singoli (o anche doppi) di colore nero o bruno. Nell’ensemble del costume tradizionale femminile era riservato un posto del tutto speciale al fisciù (fečou nella parlata locale slovena), un grande fazzoletto quadrato di colore bianco in tela di lino o in giaconetta (finissimo cotone, dal fr. jaconas) da indossare in testa e sulle spalle, impreziosito sulla punta posteriore da ricami tono su tono che proseguivano ai lati, tutto bordato da pizzi bianchi valenciennes che più raramente ornavano il solo angolo con motivo floreale. Sempre con pizzi valenciennes sono rifinite le maniche del più antico abito maschile conservato al Museo, una marsina di fine Settecento in taffettà;
  • indumenti per bambini: cuffiette, camiciole, giacchette;
  • biancheria intima e da notte;
  • indumenti protettivi: grembiuli, camici;
  • accessori: colletti, guanti, ventagli, parasole, veli nuziali ecc.;
  • stoffe per arredo e biancheria da casa: tende, asciugamani, coperte, lenzuola, federe, tovaglie, tovaglioli;
  • strumenti e accessori, disegni o schemi, pezzi di stoffa di prova.
Juca Rena, Krkavče intorno al 1950