Se fino agli inizi dell’Ottocento il concetto di costume tradizionale (noša in sloveno) denotava tutto ciò che veniva normalmente indossato, all’incirca a metà secolo iniziò piuttosto ad essere identificato con l’abbigliamento contadino e così è tuttora, non essendo mai usato in relazione al modo di vestire della classe operaia, della borghesia e della nobiltà di un tempo – tant’è che in etnologia si preferisce ormai l’espressione “tipologia vestimentaria”, compatibile con ogni ceto e condizione sociale. A livello generale si distinguono vestiti di uso quotidiano e da lavoro, vestiti delle feste e delle grandi occasioni, che differiscono tra loro per luogo e anno di realizzazione, finalità d’uso nonché genere ed età di chi li indossa, pur essendo tutti accomunati dal fatto di aver lasciato un segno nella cultura dell’abbigliamento.

Nell’Istria slovena di fine Ottocento le persone di campagna e di città erano ancora distinguibili le une dalle altre in base al modo di vestire: da un lato, infatti, vi era il costume tradizionale della popolazione in prevalenza contadina che abitava nei paesini dell’entroterra e dall’altro il vestiario di città, che poteva risultare anche molto vario a seconda dell’estrazione sociale e della professione del singolo.

La collezione tessile del Museo regionale di Capodistria consta di una serie di capi di abbigliamento e accessori ai quali si affiancano prodotti tessili che esulano dall’ambito vestimentario, tra cui pizzi e ricami da sempre impiegati per abbellire e impreziosire le stoffe.

Ricostruzione del costume popolare e borghese a cavallo tra XIX e XX secolo