Furono circa 60.000 gli sloveni e i croati della Venezia Giulia che dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, dovettero lasciare le proprie case:
– alcuni vennero arruolati nell’esercito regolare italiano e inviati al fronte in Unione Sovietica, Grecia, Francia e Africa (circa 25.000);
– altri furono inclusi nei battaglioni speciali presenti nell’Italia centro-meridionale, in Sicilia e in Sardegna;
– altri ancora, invece, si trovavano già allora in prigione o al confino.
Dopo la capitolazione dell’Italia chi si ritrovò a nord del fronte tornò a casa e si unì alle unità partigiane (alcuni vennero tuttavia mandati dai tedeschi nei lager o ai lavori forzati). Quanti si trovarono invece a sud della linea del fronte si radunarono nel campo alleato di Carbonara (Bari), dove decisero di aderire all’esercito di liberazione nazionale della Jugoslavia, unendosi come unità d’oltremare alle unità regolari dell’esercito partigiano jugoslavo, ovvero all’esercito di liberazione nazionale della Jugoslavia (NOV) e ai distaccamenti partigiani jugoslavi (POJ). A loro si unirono anche coloro che in Africa avevano disertato l’esercito italiano arrendendosi agli Alleati. Nelle unità d’oltremare, composte in tutto da circa 35.000 combattenti, prevalevano gli sloveni del Litorale e gli istriani (per un totale di circa 27.000 uomini, di cui 22.000 del Litorale sloveno). Il ruolo che esse rivestirono nell’ambito della lotta di liberazione nazionale fu importante non solo per la loro entità numerica, ma anche per il fatto che diedero vita alle prime unità delle neocostituite armi del giovane esercito jugoslavo. Combatterono sui campi di battaglia di tutta la Jugoslavia: in Dalmazia, Bosnia-Hercegovina, Montenegro, Serbia, e ancora nella battaglia di Belgrado, sul fronte dello Srem, nella Lika, nel Gorski kotar, in Istria, nonché nelle battaglie per il Litorale sloveno e Trieste e anche in Carinzia. Che questi combattenti trovatisi all’estero decisero di battersi con l’esercito di liberazione nazionale della Jugoslavia fu in tal senso un vero e proprio plebiscito degli sloveni del Litorale e degli istriani a favore dell’annessione alla Jugoslavia. Quanto ai combattenti d’oltremare caduti in battaglia, furono complessivamente circa 5.000.
DALL’ITALIA MERIDIONALE ALL’ESERCITO DI LIBERAZIONE NAZIONALE DELLA JUGOSLAVIA (NOVJ)
Nell’ottobre del 1943 sussistevano nei territori liberati dell’Italia meridionale le condizioni per creare le basi dell’esercito di liberazione nazionale della Jugoslavia (NOVJ), senza contare che all’epoca erano stati anche stabiliti dei contatti tra Alleati e partigiani jugoslavi. I cosiddetti combattenti d’oltremare si radunarono dapprima nel campo provvisorio di Taranto, dopodiché le forze alleate aprirono a Carbonara (Bari) un campo per profughi e prigionieri di guerra di ogni nazionalità.
Il 17 novembre 1943 lo Stato Maggiore britannico riconobbe le unità d’oltremare come parte integrante dell’esercito alleato, per cui le armò e assegnò loro il campo di Gravina (Bari) a seguito della richiesta scritta di 2.600 jugoslavi di confluire nell’esercito di liberazione nazionale della Jugoslavia. Un centinaio di loro optò poi per l’esercito alleato e altrettanti per l’esercito monarchico jugoslavo. Fu così che da quel momento, nei territori dell’Italia meridionale sotto l’amministrazione militare angloamericana, gli appartenenti ai vari popoli jugoslavi poterono schierarsi liberamente con l’esercito partigiano, organizzarsi militarmente e a poco a poco confluire nelle unità partigiane in territorio jugoslavo.
DALL’AFRICA ALL’ESERCITO DI LIBERAZIONE NAZIONALE DELLA JUGOSLAVIA
In Africa le unità d’oltremare erano formate da sloveni del Litorale e istriani che avevano disertato l’esercito italiano passando agli Alleati, nonché da soldati che dopo la capitolazione dell’Italia batterono in ritirata sfuggendo ai tedeschi che sopraggiungevano dalla Grecia e dalle isole e riparando in Medio Oriente. Là vennero dapprima inclusi nell’esercito monarchico jugoslavo, ma una volta venuti a sapere dell’esistenza dell’esercito di liberazione nazionale della Jugoslavia, nel dicembre del 1943 si schierarono con quest’ultimo. La scelta risultò poco gradita agli Alleati, che li disarmarono e li trasferirono al campo di prigionia di Geneifa – Laghi Amari, rinominandolo pertanto Yugoslav Camp (Partisans) – British Responsibility. Quando tuttavia i britannici riconobbero l’esercito di liberazione nazionale della Jugoslavia, i combattenti d’oltremare iniziarono a rientrare in patria: dall’Africa si unirono all’esercito partigiano più di 6.000 tra sloveni del Litorale e istriani croati.
Nelle unità alleate
Le autorità italiane e quelle alleate non vedevano di buon occhio il fatto che la base partigiana di Gravina accogliesse anche sloveni del Litorale e istriani che fossero cittadini italiani. Dalla Sardegna raggiunsero le unità d’oltremare coloro che erano riusciti a fuggire o avevano lasciato l’isola con l’esercito regolare italiano (di Badoglio) per fuggire poi verso la base partigiana jugoslava NOVJ. Gli altri vennero portati in Corsica e inclusi nelle unità regolari dell’esercito americano. Fu così che 6.000 uomini del Litorale e dell’Istria vennero organizzati nelle cosiddette “compagnie slave”, dotate di propri ufficiali, di una propria bandiera e della potente organizzazione del movimento di liberazione nazionale. Era questo un reggimento autonomo di vettovagliamento della VII Armata americana, nel cui ambito partecipò alle operazioni nel sud della Francia. Per motivi politici (la questione del confine italo-jugoslavo) i soldati tornarono a casa appena nel novembre del 1945, ma in Sardegna rimasero 400 caduti tra istriani e sloveni del Litorale.