LA RICOSTRUZIONE
In tempo di guerra 1.499 dei complessivi 6.620 fabbricati presenti nel distretto di Capodistria andarono distrutti. La ricostruzione andò avanti a rilento data la mancanza di personale tecnico, manodopera, materiale edilizio, mezzi di trasporto e, soprattutto, risorse finanziarie. Nel primo periodo se ne occupò una task force di esperti che affrontarono in loco i problemi via via più impellenti. A partire dall'inizio del 1946 presero a nascere nei vari paesi le cooperative per la ricostruzione, alle quali aderirono coloro le cui case erano state incendiate e altri ancora. Nel 1952 si accorparono alle cooperative agricole come loro sezione edile, infine dopo il 1947 cominciarono a nascere le prime imprese edili.
Nei paesi si procedette innanzitutto alla rimozione delle macerie, alla sistemazione dei senzatetto nel periodo invernale e al risanamento di edifici pubblici e infrastrutture di viabilità. Inizialmente ci si limitò, in sostanza, alla riparazione dei danni, ma in un secondo tempo si iniziarono a costruire anche nuove infrastrutture: strade, stabilimenti, scuole. Poi, nel 1948, cominciarono a fare capolino nei piccoli abitati le Case del cooperatore, futuri centri della vita economica e sociale.
La ricostruzione si basò su una vasta mobilitazione di manodopera aderente alle cosiddette azioni di lavoro volontario. L'unione antifascista sloveno-italiana si occupò di organizzare il lavoro d'assalto, stimolato anche dallo spirito di competizione, e diede vita a brigate di lavoro giovanili i cui ragazzi andarono a costruire strade e ferrovie anche altrove in Jugoslavia.