LA POPOLAZIONE ITALIANA
La popolazione italiana delle città costiere, in effetti, non si identificò mai con il nuovo potere postbellico né accettò l’annessione alla Jugoslavia. Inizialmente il nuovo potere si sforzò alquanto di accattivarsi il sostegno degli italiani d’Istria: alla classe operaia prospettava ad esempio una vita migliore all’insegna dello spirito di uguaglianza del nuovo Stato socialista, inoltre prestava particolare attenzione all’approvvigionamento dei centri urbani, alla rigorosa applicazione del bilinguismo, all’equa composizione degli enti locali e così via dicendo. Date però le particolari circostanze oggettive e soggettive, le nuove autorità non goderono mai di un vasto appoggio tra la popolazione italiana – nemmeno a guerra finita, quando i legami tra sloveni e italiani erano molti forti per effetto della comune lotta antifascista. Negli anni successivi la situazione cominciò a cambiare in modo drastico. Il divario tra il sottosviluppato retroterra sloveno e le città costiere a maggioranza italiana era troppo grande perché gli italiani potessero sostenere degli amministratori sloveni – al di là del fatto che un po’ di sostegno, comunque, glielo diedero: in parte per coscienza di classe nel caso degli operai di Isola, in parte per interesse nel caso dei coloni. Una parte della popolazione italiana si schierò più o meno apertamente contro il nuovo potere, mentre la maggior parte restò passiva in attesa che si decidessero le sorti di questo territorio. Ciò che più di tutto alimentava sentimenti di sfiducia verso la nuova amministrazione erano le difficoltà negli scambi con Trieste a causa della linea Morgan, l’introduzione di una nuova moneta (la jugolira nel 1945 e il dinaro nel 1949), nonché la costante disoccupazione, che non fece che aumentare con lo smantellamento delle fabbriche e il trasferimento dei pescherecci. Dal momento che in Istria quasi non c’erano risorse umane ed esperti, vennero inviati dal resto del Litorale e poi dalla Slovenia, per quanto non comprendessero le specificità di quest’area, e lo stesso valeva per la dirigenza politica slovena. Ne derivò che furono commessi non pochi errori nei confronti degli italiani, anche sulla scorta del principio “chi non è con noi, è contro di noi”. Tempo dopo fece seguito anche la rottura tra sloveni e italiani che sostenevano e collaboravano con le autorità, causata dalla crisi del Cominform, dal quale la Jugoslavia era stata espulsa per volontà dell’Unione Sovietica. Dovendo scegliere “tra Tito e Stalin”, i comunisti italiani scelsero per la maggior parte Stalin e ciò portò a spaccature nel partito comunista del TLT, nel sindacato e in altre organizzazioni. A tutto questo andò ad aggiungersi il 1953, anno che vide Italia e Jugoslavia arrivare sull’orlo del conflitto armato con annessa chiusura del confine tra zona A e zona B. Come conseguenza di tutti questi sviluppi politici ed economici fomentati dalla propaganda antijugoslava del CLN di Trieste, gli italiani presero la via dell’esodo. Da allora il potere si appoggiò agli italiani di Trieste e dintorni, ex partigiani stabilitisi nel circondario dell’Istria e a coloro che si erano trasferiti nel distretto di Capodistria dall’Istria croata e da Fiume, parte della Jugoslavia già dal 1947.
Il 13 dicembre del 1945 una grande folla di persone rese a Pirano l’estremo saluto ad Antonio Sema, personaggio stimato dalla gente, insegnante e uno dei fondatori del Partito socialista.
Attività scolastica
A partire dal 1945 tutte le scuole elementari e medie riaprirono i battenti, ad eccezione di due (l’istituto nautico di Capodistria e la scuola elementare di Salara). Nel primo anno scolastico vennero fondate altre tre scuole elementari e due medie superiori, mentre negli anni successivi nacquero altre scuole ancora oppure nuove sezioni all’interno delle scuole slovene, ancorché in alcuni casi di breve durata. Il resto degli istituti rimase tuttavia in vita a stento, a causa del sempre minore numero di alunni e insegnanti.
Nei primi due anni la scuola italiana mantenne il sistema in vigore in Italia: per le elementari ciò significava avere cinque classi, mentre le medie si suddividevano in istituti tecnici e scuole di tipo classico, laddove in entrambi i casi valeva l’ulteriore suddivisione in medie inferiori e superiori. L'istituto tecnico inferiore più diffuso era la scuola di avviamento professionale, mentre la vera e propria scuola media era costituita dalla scuola media unica e la scuola media superiore, a sua volta, coincideva con il liceo classico. Dopo il 1950 le scuole italiane cominciarono ad adeguarsi sempre più al sistema scolastico sloveno e, con l’introduzione delle ottennali, le scuole medie uniche e le scuole di avviamento professionale iniziarono a cedere il passo ai ginnasi inferiori.
Il corpo insegnante italiano, nella maggior parte dei casi, non sosteneva le autorità al potere in quel periodo. Erano docenti socialmente inattivi, alcuni addirittura operavano apertamente contro le autorità, che pertanto li consideravano ostili. Per questo motivo, ma anche per effetto dell'influenza del Comitato di liberazione nazionale (CLN) di Trieste, abbandonarono in massa il lavoro, alcuni con formale preavviso, altri invece decisero più semplicemente di non farsi più vedere. I posti rimasti vacanti vennero occupati da insegnanti sloveni in possesso del diploma dell'istituto magistrale italiano.
Dopo il 1945 l’incessante esodo provocò di anno in anno un continuo abbassamento del numero di alunni, cui contribuì anche il decreto varato nel 1952, secondo cui i bambini con cognome slavo dovevano frequentare la scuola slovena anche se non si sentivano sloveni – prima vigeva la regola per cui le scuole italiane accoglievano i bambini italiani e quelle slovene i bambini sloveni, mentre in caso di figli nati da matrimoni misti la decisione spettava ai genitori.
Attività culturale
Subito dopo la guerra fece capolino l'idea di fondare una società artistico-culturale. A Capodistria nacque così l'ENCIS (Ente Cittadino dello Spettacolo), che abbracciava diverse forme espressive – orchestra, coro, filodrammatica, ballo – e i cui spettacoli, organizzati nel salone del convento di Santa Chiara, erano di alto livello e perciò molto seguiti.
Le società culturali italiane operavano nell'ambito del Centro di cultura popolare che nel 1947 diede vita a un nuovo ambito di attività, vale a dire i circoli italiani di cultura, che nacquero in tutte le principali località accorpando le società preesistenti. Le loro attività erano molto varie, ma su tutte spiccavano le filodrammatiche.
La successiva fase nello sviluppo dei circoli italiani fu la nascita, nel marzo del 1950, dell'Unione degli italiani del circondario dell'Istria, che riunì al suo interno ogni forma di attività degli italiani con un particolare accento sulla salvaguardia dell'identità culturale. Una volta soppresso il circondario dell'Istria, da essa nacquero due ripartizioni, ovvero l’Unione degli italiani del distretto di Capodistria e l’Unione degli italiani del distretto di Buie (Buje), che con l'annessione della zona B alla Jugoslavia entrarono a far parte dell'organizzazione della minoranza italiana in Jugoslavia, ossia l'Unione degli italiani dell'Istria e di Fiume.
L'Unione degli italiani organizzava delle rassegne annuali di cultura italiana in tutta la zona B e anche altre altrove a livello locale, in giro per le varie città. A causa dell’esodo l’attività dei circoli si ridusse parecchio nel 1953, per poi riprendere appena nella primavera del 1954, quando ai soci espatriati subentrarono gli italiani arrivati dall’Istria croata e da Fiume.
Nel frattempo, nel 1951 era stato fondato a Capodistria il Teatro del popolo, una compagnia teatrale italiana semiprofessionistica che tuttavia rimase attiva solo per tre stagioni. Aveva sede nel teatro di Capodistria, rinnovato nel 1949, e in tutto allestì sette prime.
Esodo
Nel distretto di Capodistria l’esodo ebbe inizio nell’immediato secondo dopoguerra e andò avanti a ondate più o meno massicce fino al 1957. Ad andarsene per primi furono i simpatizzanti del fascismo e gli intellettuali contrari all’annessione alla Jugoslavia, in seguito l’esodo coinvolse per motivi economici, politici e psicologici anche altri ceti, inclusi coloro che avevano tratto benefici dal nuovo potere, come i coloni. Una parte della popolazione se ne andò legalmente, ovvero in possesso di apposito permesso dell’Amministrazione militare jugoslava, altri invece illegalmente. Dopo il 5 ottobre 1954 l’esodo venne regolato dal Memorandum di Londra, che conferiva agli abitanti delle due zone il diritto di scegliere liberamente la propria cittadinanza secondo i criteri del domicilio e della lingua d’uso. Coloro che sceglievano di andarsene potevano portare con sé oggetti personali, mobili, raccolto, attrezzi agricoli, bestiame e mezzi di trasporto, in sostanza quasi tutti i beni mobili in proprio possesso.
Fu così che tra il 1945 e il 5 ottobre 1954 partirono 9.008 persone e di lì al 1958 altre 16.062, per un totale di 25.070 esuli di cui poco più di 19.000 erano italiani.